Anna, una giovane donna che vedo da alcuni mesi, è cresciuta con una nonna schizofrenica, con una madre più preoccupata di Dio che dei figli, con un padre poco presente. È passata da un tentativo di stupro alla bulimia, alla fobia di non essere presentabile, fino a costruirsi un mondo fantastico in cui qualcuno l’avrebbe ricompensata di tutte le sue sofferenze.
Nell’incontro del 12 dicembre le chiesi se avesse mai pensato di scrivere la sua storia perché spesso mi ero ritrovata ad ascoltare con piacere il fluire affascinante della sua narrazione. Anna rispose che mai avrebbe potuto scrivere pensando che gli altri avrebbero potuto leggere di lei. Passammo il resto della seduta parlando della sua impossibilità a mostrarsi. Nell’incontro successivo, mentre stava uscendo, dopo avermi fatto gli auguri per il Natale, mi diede una piccola busta dicendomi: “Questo è per lei”.
Nella busta c’era un foglio scritto a mano:
 
Era il 12 dicembre e il cielo non prometteva niente di buono, ma non sempre le cose sono come sembrano. Prima di uscire dallo studio ho fatto una cosa strana che non avevo mai fatto prima: mi sono voltata per controllare di non aver dimenticato niente e mi sono domandata a voce alta: “Ho lasciato qualcosa? No”. Era vero, ma solo in parte. Non avevo lasciato qualcosa dietro di me. Avevo lasciato qualcuno.
Seduta su quella sedia ho visto la vecchia Anna guardarmi, la Anna che si odia, quella che soffoca le sue emozioni nel cibo, che si picchia per punirsi, che si umilia, che si uccide lentamente giorno dopo giorno perché vivere significa sempre e per forza far male a qualcuno. Era lì e mi guardava, e per quanto assurdo possa sembrare, aveva il volto di una bambina felice, pronta a lasciarmi andare. Aveva il volto di tutte le cose belle e di tutti i momenti gioiosi. Aveva gli occhi che si erano illuminati quando i miei genitori mi avevano regalato le prime scarpe di vernice nera, cantava “Basta un poco di zucchero” come la prima volta che mia mamma mi aveva portata al cinema a vedere Mary Poppins, noi due da sole, ed eravamo tornate a casa a piedi ballando e cantando per la strada; aveva le mani che stringevo attorno a mio papà quando mi portava a scuola in Vespa, aveva i piedi che correvano d’estate lungo la spiaggia, aveva i sogni e le speranze che non vedevo più da tanto tempo. Da troppo tempo. Quella bambina mi diceva che potevo andare, che avrebbe custodito lei tutto quello che era stato, che potevo lasciarlo lì al sicuro perché non avrebbe più avuto alcun potere su di me.
Quel corpo che avevo portato a spasso per anni come un peso maledetto agganciato all’anima, quel corpo veniva con me, quel corpo ero io. Ero io che uscivo da quello studio piangendo e respirando. Godendomi il caldo delle lacrime che scorrevano e quel buon sapore salato in bocca che si confondeva con quello della pioggia fredda che scendeva lentamente. Che gioia sentire, semplicemente sentire, semplicemente vivere, semplicemente esserci.
Buon Natale
Grazie per esserci. Anna.
 
È stato il più bel regalo che avesse potuto farmi.

Vallj Vecchiato

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Ho lasciato qualcosa?