La follia ora ha un museo

Tania Farris

C’è una mostra itinerante in giro per l’Italia che ha la giusta ambizione di diventare permanente. È interamente dedicata al tema della follia, fino a novembre sarà ancora ospitata al Musa di Salò, poi si trasferirà presumibilmente a Napoli. Si tratta di una sequenza straordinaria di opere che celebrano questo aspetto misterioso e al tempo stesso intrinseco all’animo umano. “Anche la follia merita i suoi applausi” diceva Alda Merini, mentre Franco Basaglia nei suoi scritti ricorda che “in noi la follia esiste ed è presente come la ragione”. Celebrarla non significa di certo avallarne il diritto a imperare nelle nostre vite né tanto meno nella società tutta, quanto piuttosto ricordarci la sua esistenza. Metterla in mostra senza averne paura è forse uno dei modi più intelligenti per esorcizzarne il fantasma, darle udienza senza darle retta.

Il percorso al Museo è costellato da una serie di artisti, ciascuno un po’ folle a modo suo; qualcuno realmente affetto da patologie mentali e qualcun altro che invece ha vissuto una vita intera al confine estremo fra normalità e pazzia.

Era clamorosamente matto Ligabue che si sentiva la testa popolata da insetti, fino ad arrivare a colpirsi con un sasso per placarli. I suoi quadri sono pieni di animali, spesso feroci, la maggior parte dei quali non vide probabilmente mai, ma che rappresentavano bene stati di violenza e aggressività.

Una follia vitale, creativa, capace di intercettare parti di ciascuno di noi.

Così come quella rappresentata dalla Strega di Cammarano, un vero e proprio archetipo della malattia mentale; esprime i lati più oscuri dell’animo umano, l’ombra con cui ciascuno di noi deve inevitabilmente fare i conti. Ma è al tempo stesso la ribelle contro l’ordine costituito, colei che può permettersi di incarnare i sentimenti maligni che gli altri non possono sfogare.

C’è poi la follia del potere; come quella del papa dipinto da Bacon nel suo Studio di ritratto di Innocenzo X dove, riprendendo quello famosissimo di Velàzquez, lo imprigiona legandolo al suo trono. Dell’altera autorità originaria non rimane nulla, la bramosia del comando lo ha soggiogato e reso schiavo della sua stessa ossessione.

C’è la follia che non comunica; le donne della Sala delle agitate di Signorini sono figure drammaticamente sole, se pure vicine non sono insieme. Ognuna intenta a seguire i suoi fantasmi, spiegano in un’immagine sola e più di mille parole il dramma della patologia mentale, che nelle forme più severe diventa una solitudine esistenziale inavvicinabile.

E poi c’è la regina delle follie, quella delle istituzioni di cura; i ricordi dei poveri cristi che hanno abitato i manicomi in condizioni indegne di una civiltà umana, quelli recentissimi degli OPG, frammenti di lettere poetiche e deliranti, oggetti, pezzi di vita abbandonata. Inutile dire quanto colpiscano queste visioni , messe in mostra sarebbero potute apparire soltanto cimeli di un passato scomodo e da dimenticare, se non fosse per le originalissime installazioni di Inzerillo che le affiancano e appaiono come un monito, uno spunto per riflettere e non abbassare la guardia. Un ammonimento che a me viene spontaneo tradurre con le parole dello psichiatra Gilberto Di Petta:“ La follia sopravvive a tutte le istituzioni. Anche a quelle che la destituiscono per ritrovarsela sempreverde e innominabile davanti agli occhi”.

_________________________________________________________________________________

SCARICA L’ARTICOLO IN FORMATO PDF:

La follia ora ha un museo – Tania Farris