DAL DIARIO DI UNA VECCHIA PSICOANALISTA – LAURA SCHWARZ

TUTTO BENE?

“Alla mia età avrò bene il diritto di non volere imparare più niente!”, brontolo spesso quando qualcuno vuole persuadermi ad adottare qualche nuova diavoleria tecnologica. Abbarbicata alle vecchie abitudini come tutti gli anziani, io all’inizio rifiuto, poi a volte mi convinco, e magari resto anche soddisfatta di aver compiuto la fatica di imparare e di adattarmi. C’è tuttavia una novità a cui non intendo adattarmi a nessun costo, anzi mi sento in dovere di combatterla e contrastarla con tutte le mie forze, in quanto persona e in particolare in quanto psicoanalista. Ho addirittura fatto la fantasia di lanciare una petizione perché a tutti sia proibito per legge di rispondere con un compiacente “sì” alla domanda “tutto bene?”. Per legge, invece, dovrebbe essere imposto di rispondere (pena la radiazione dal consorzio civile): “Ma come può andarmi tutto bene proprio mentre tu mi stai facendo male?”. Se mi lanciassi in una tale campagna a tutela della pubblica salute psicologica, probabilmente verrei presa per matta e anche chi sta leggendo queste righe potrebbe considerarmi matta, accusandomi di prendermela un po’ troppo per un’innocua formula di cortesia che sta rapidamente sostituendo il vecchio “come stai?”. La formula ci viene dall’America, che ci ha già abituati, con i filmacci di cui ci inonda, a sentir rivolgere l’assurda domanda “stai bene?” al poveraccio di turno, maciullato o terrorizzato, in cui un personaggio si imbatte per strada.

Sentendoci chiedere “come stai?” ci troviamo di fronte a una domanda aperta, che ci consente di rispondere in modo verace e anche di modulare la risposta a seconda delle circostanze. Il “tutto bene?” è invece una pseudodomanda, alla quale, come avviene nei quiz, sono previste solo le risposte “sì” o “no”. Dal tono in cui la domanda ci viene rivolta, sembra che chi la pone si aspetti la risposta “sì”. Chi risponde, quindi, facilmente si sente indotto a rispondere “sì”, specie se prova soggezione nei confronti dell’interlocutore, mentre invece l’eventuale risposta “no” comporterebbe sempre una certa dose di opposizione. Inoltre la domanda “tutto bene?” suggerisce l’impressione che chi la formula abbia fretta di ottenere una risposta qualunque per proseguire subito nella sua corsa e rinforza in chi è chiamato a rispondere la tendenza a cavarsela con un compiacente “sì”, specie se anche lui è incalzato dalla fretta.

La fretta ci incalza oggi più che in passato e ci spinge a perseguire le nostre mete in tempi sempre più rapidi. Entro certi limiti ci aiuta a non disperderci, a concentrarci, a sfruttare al massimo le nostre capacità e risorse, ma al di là dei giusti limiti sconfina nella pretesa di onnipotenza e comunque disturba pesantemente il nostro equilibrio psichico, oltre a ritorcersi negativamente sulle stesse mete che vogliamo perseguire. Per quanto riguarda in particolare la nostra professione, è giusto e anche necessario che le nuove generazioni di psicoterapeuti si adattino alle esigenze del nostro tempo, sforzandosi di elaborare tecniche di trattamento più brevi rispetto a quelle della lunga e lenta psicoanalisi in cui i miei coetanei e io ci siamo formati. A condizione tuttavia che la fretta non entri mai nella stanza dove si svolge la terapia: qualunque sia stato il suo iter formativo e qualunque sia la sua scuola di appartenenza, il terapeuta deve entrare nello studio con curiosità e interesse per ciò che il paziente potrà comunicargli e con la mente sgombra da propri contenuti e progetti, ivi compresi i progetti riguardanti il paziente. Così raccomandava Bion, un maestro della vecchia psicoanalisi. Al terapeuta che si accinge all’incontro con questa disposizione e disponibilità non potrà mai accadere di accogliere il paziente con un “tutto bene?”.

Lo sforzo di accogliere il paziente con questa disposizione d’animo accomuna le vecchie e le nuove generazioni di psicoterapeuti, ma per le nuove generazioni è più difficile sottrarsi, o quanto meno sensibilizzarsi, all’onnipervasiva manipolazione di cui tutti siamo oggetto da parte dei messaggi pubblicitari e degli attuali strumenti di comunicazione. Una manipolazione che non solo incide sul linguaggio di tutti, psicoterapeuti compresi, ma anche, subdolamente, tende a omogenizzare la forma mentis di tutti, psicoterapeuti compresi. Da qui la mia buffa fantasia di lanciare una petizione per bandire dal linguaggio comune la malsana, frettolosa e manipolatoria domanda “tutto bene?”. Questa irrealistica fantasia ha poi generato l’idea di raccomandare soprattutto ai colleghi giovani la massima allerta affinché la loro autenticità non affoghi nella melma di un mortifero conformismo linguistico. Cerchiamo di resistere all’appiattimento, cerchiamo per lo meno di non usare domande prefabbricate che indurrebbero il paziente a darci risposte prefabbricate; manteniamoci capaci di chiedergli “come stai?” e permettiamogli sempre di rispondere a modo suo.

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Tutto bene?