IL CAPO PERFETTO
(Recensione del film di Fernando León de Aranoa, 2021)
“Arbeit macht frei” recita un’insegna costituita da un doppio arco di ferro arrugginito, posta all’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz e di molti altri lager. Il lavoro rende liberi. Queste parole di un’ironia feroce accoglievano i reclusi. Mi sorprende la straordinaria somiglianza con l’insegna “Basculas Blanco”, su cui indugia più e più volte la macchina da presa. Insegna posta all’ingresso della fabbrica storica di bilance industriali, di cui i Blanco sono proprietari da generazioni e delle cui gesta si occupa il film di Fernando León de Aranoa.
Superato il cancello, una bilancia a bracci di notevoli dimensioni accoglie i dipendenti. Provvede lo stesso Blanco, ogni volta che mette piede in fabbrica, a verificare che i due piatti siano in bolla. E poiché, per ironia della sorte, non lo sono quasi mai, blocca uno dei due bracci con un proiettile di grosso calibro. In buona sostanza, trucca la bilancia. Paradossale, se pensiamo al suo significato simbolico. Da sempre infatti raffigura la giustizia, che deve mantenere l’equilibrio tra bene e male e ristabilire l’equità. Così, in un crescendo di indizi significativi disseminati qua e là, intuiamo che de Aranoa non ha una visione idilliaca dell’attuale condizione lavorativa. Ma il signor Blanco ci fa intravedere chi è davvero quando comunica ufficialmente ai suoi dipendenti che la loro florida azienda riceverà un ulteriore prestigioso riconoscimento governativo. Di cui ovviamente loro sono i principali artefici. Perché tutti insieme formano una grande famiglia: lui è il padre e loro sono i figli, il cui benessere gli sta particolarmente a cuore. Non esitino infatti a rivolgerglisi in caso di bisogno. Il discorso si conclude con un’ovazione generale. Poco prima del rinfresco, cui sono invitati tutti in un clima festoso, comunica a sorpresa i nomi delle stagiste cui non verrà rinnovato il contratto. Anche le notizie difficili vengono date con l’attenzione necessaria – precisa – perché questa è la cifra della Basculas Blanco. Ed appunta sul petto di quelle giovani donne sconcertate, col volto rigato di lacrime, una spilla di splendida fattura, con inciso il logo dell’azienda. Ricorda loro che il cambiamento è indispensabile alla crescita professionale e che un giorno lo ringrazieranno! Inutile sottolineare che mistificazione, perfidia e sadismo poco hanno a che fare con il concetto di famiglia tradizionalmente intesa.
Blanco non è il classico padrone vecchio stile di una piccola impresa che ha fondato col duro lavoro e con cui si identifica. Che gestisce all’antica, accentrando il potere per averne il completo controllo e per scongiurare la minaccia che i dipendenti divengano autonomi e propositivi. Ci troveremmo di fronte a una gestione paternalistica, non certo auspicabile, dove tuttavia l’etica e la dignità umana sono ancora dei valori. Blanco, al contrario, è il prototipo dell’affarista scaltro, senza scrupoli, infido, sottilmente perfido. Un padre – padrone che decide della vita dei suoi dipendenti, su cui esercita un controllo pressoché assoluto, praticando il “divide et impera”.
Chi si salva? Di certo non i fedelissimi, che gli hanno delegato improvvidamente la responsabilità della propria vita e delle proprie scelte. Diventando ricattabili. Infatti l’implicito è: io ti vengo in aiuto e tu firmi un patto col diavolo. Mi dovrai un favore che potrebbe costarti molto caro. Secondo l’uso mafioso. Non si salvano nemmeno i dipendenti irreprensibili, con un mutuo da pagare e i figli da mandare a scuola. Cioè la maggior parte. Perché non potendo permettersi di perdere il posto di lavoro, sono costretti, sotto ricatto, alla delazione. Così mettono in salvo il posto di lavoro ma la la loro dignità ne esce stropicciata. Men che meno se la passano bene gli idealisti, che combattono fino alle estreme conseguenze. Perché la loro dignità è salva ma tutto il resto naufraga miseramente. Infatti la loro tenacia per un po’ fa notizia e poi finisce nel dimenticatoio. Le acque si richiudono e in superficie rimane solo qualche lieve increspatura.
Sembra navigare alla grande solo chi è cinico almeno quanto il personaggio di Blanco, se non di più. Cioè chi ha smesso da tempo di considerare la dignità un suo problema.
Tanto i riconoscimenti, il prestigio e la fama immeritata arrivano lo stesso. E poi è risaputo che le bilance sono fatte per essere truccate. All’occorrenza.
Fulvia Ceccarelli
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Il capo perfetto