10 minuti
di Maria Sole Tognazzi

Questo film, complessivamente gradevole e molto ben recitato, ci offre l’ennesimo spunto di riflessione sul nostro lavoro di terapeuti. Mai sazio, sempre vorace di contraddittorio. La vicenda riguarda un piccolo microcosmo legato a vario titolo alla figura di una psichiatra scostante, dai modi spicci al limite dello sgradevole. Tuttavia, a modo suo, presente. Una sorta di antieroina, che ritiene che i pazienti non vadano assecondati nelle loro lamentazioni, bensì scrollati con un po’ di sana brutalità. Che si ostina a tenere nel suo ambulatorio spartano una sedia sgangherata, su cui, chi si siede rischia immancabilmente di rompersi l’osso del collo. Ma come dire, prima i pazienti fraternizzano col principio di realtà, meglio è per loro. Di formazione comportamentista, impartisce suggerimenti e compiti. Come ad esempio dedicarsi dieci minuti al giorno a cose mai sperimentate. Non necessariamente trasgressive, semplicemente nuove. È ciò che propone anche a Bianca, una quarantenne spaventata dalla vita, che ha tentato il suicidio perché il compagno l’ha lasciata e contemporaneamente ha perso il lavoro. Professionalmente poco realizzata, Bianca è una scrittrice ignara del proprio talento. A lungo aggrappata ad un uomo che in realtà non vede, non è stata in grado di coglierne fatiche e desideri. Insomma una donna ripiegata su se stessa al punto di non percepire ciò che le accade intorno. Unico spiraglio di luce è l’incontro tardivo con una sorellastra coraggiosa e intraprendente, che è il suo esatto opposto.

A ben vedere quasi tutti i personaggi della vicenda sono afflitti da qualche incapacità. La madre della protagonista non riesce a rifarsi una vita, perché non sa recidere dei legami stantii. Il marito di Bianca non riesce a comunicarle il suo disagio e accumula malcontento sino a esplodere. Il padre ha storie sentimentali parallele piene di segreti inconfessabili. La stessa psichiatra ha qualche problema con l’affettività.

E mi chiedo se davvero bastino dieci minuti di buona volontà al giorno, per riprendersi in mano la propria vita. O è piuttosto condividere le proprie esperienze che può alleviare la solitudine? Scoprendo che tutte le vite sono imperfette. Quando più, quando meno.
Nel caso specifico, poi, non credo siano stati i suggerimenti della terapeuta a risvegliare Bianca dal letargo in cui era precipitata, quanto piuttosto il suo esserci, seppur da scorbutica.

Fulvia Ceccarelli