Simone Guslandi, nel suo libro intitolato La gioia, condivide con noi la propria esperienza di vita, incentrata sulla ricerca della gioia, che ritiene essere il compito fondamentale di ognuno di noi.
La lettura, resa agile da una serie di domande e risposte, ha un che di contagioso. L’autore, sorretto da un forte pragmatismo, ritiene che la gioia sia l’unico fattore universale, a differenza dei valori e delle morali, che considera provvisori in quanto suscettibili di mode.
Secondo la sua opinione, essere felici equivale a vivere nella gioia. E per essere nella gioia, bisogna sperimentarla attraverso le emozioni vissute. In un costante cammino di crescita, ogni persona può educarsi ad associare ai fatti che le capitano gli stati d’animo che ne conseguono. Fatto di non poco conto, perché equivale a scegliere di fare o di stare con chi o cosa procura serenità e gioia, evitando ciò che procura tristezza. Rinunciando alla gioia, l’uomo si candida ineluttabilmente alla tristezza. E non gli conviene. Guslandi inoltre diffida di chi ama compiacersi della propria malinconia, quasi fosse il segno distintivo di uno spirito nobile e superiore. Ritiene poi che la felicità non sia data una volta per tutte, ma vada conquistata palmo a palmo, con grande determinazione.
L’autore si chiede anche come mai alcuni di noi si facciano naturalmente guidare dalla gioia, mentre altri no, come ben sanno gli psicologi. Pensa che ciò dipenda dalla quantità di affetto ricevuto, perché la sensazione di essere amati non può che suscitare gioia. Qualcosa di analogo vale per la visione del mondo, che è diversa per ciascuno di noi. Ma non è il mondo a essere diverso, sembra suggerirci l’autore, piuttosto siamo noi che lo vediamo bello o crudele, a seconda che siamo felici o tristi.
Questo costrutto teorico vale tanto per credenti che per i non credenti. In particolare per i credenti, la gioia deriva da Dio e dall’esperienza diretta che se ne fa. Non certo dalle testimonianze di fede altrui. A riprova del fatto che ciascuno di noi può rifarsi esclusivamente alla propria esperienza personale.
Pur con tutti i distinguo del caso, credo che la ricerca della gioia riguardi anche terapeuti e pazienti. Che poi la si definisca gioia o benessere, poco importa.