Equilibri sopra la follia

18 Mag
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Equilibri sopra la follia
Dania Cappellini e Julie Cunningham
 

Ogni individuo deve scegliere la verità

che è in grado di tollerare.

                                                                                                                                           [Irvin D. Yalom]

 

“Dottor Yalom, vorrei essere ricevuto per una seduta. Ho letto il suo romanzo Le lacrime di Nietzsche e mi chiedo se potrebbe interessarle incontrare un collega scrittore con un blocco creativo…“.
Nessun incipit potrebbe introdurre meglio alle successive duecento pagine, perché la curiosità che il “collega bloccato” suscitò nell’autore è la stessa che immediatamente coglie il lettore di Creature per un giorno, uno degli ultimi libri di Irvin Yalom (psichiatra e a sua volta raffinato scrittore di bestseller, più volte recensito su queste pagine virtuali e ben conosciuto ai nostri followers), soprattutto se collega non già di scrittura ma di psicoterapia.

Chi sono le “creature di un giorno” a cui è dedicato il libro? Marco Aurelio scrisse che lo siamo tutti, “coloro che ricordano e coloro che sono ricordati” poiché “tutto è effimero, tanto il ricordo che l’oggetto del ricordo”. Presenze veloci e sfuggenti, meteore della vita e del lettino (o della poltrona) del terapeuta, ma non per questo meno degne di essere ascoltate ed aiutate ad ascoltarsi.

Anche in Creature di un giorno, come in quasi tutti i suoi saggi e romanzi, Yalom intesse una trama esistenziale usando il filo delle storie dei suoi personaggi-pazienti, che si ritrovano ad affrontare le incongruenze della vita, la paura della morte o il semplice timore per la vecchiaia, il lutto per la perdita di persone amate, la necessità bruciante di dare un senso a vite senza senso. Personaggi/pazienti che, in questo caso, fanno però della fugacità e del semplice “assaggio terapeutico” il loro credo, o forse meglio ancora la loro arma di resistenza. Ed anche le condizioni che pongono farebbero rabbrividire uno psicanalista più rigoroso o più rigido o meno coraggioso e disponibile all’ascolto.

La galleria di “creature” è singolare e vasta, persino giustamente curiosa. Non c’è solo lo scrittore dalla penna paralizzata che lascia orfani i suoi lettori. Applaudiamo una ex Prima Ballerina della Scala che vive lo studio di Yalom come una ribalta, sulla quale fare il suo ingresso teatrale sventolando una fotografia che la ritrae giovane, splendida étoile della danza. Incontriamo un uomo d’affari con tutte le cose giuste attorno a lui, ma nessuna giusta dentro. E una giornalista ormai in punto di morte, con l’aspetto esteriore di una malinconica figlia dei fiori degli anni Sessanta e dei grandi occhi castani che brillano intensi…

Yalom lo fa in ognuno dei suoi libri, eppure mai come in questo meraviglioso testo la scrittura rivela la sua componente più nascosta, quella terapeutica, e permette al lettore “iniziato” di guardare negli occhi le due questioni fondamentali dell’esistenza: come vivere una vita piena e come conciliarsi con l’inevitabile prospettiva di abbandonarla. E quella letteraria, rivolta al “normale” con un linguaggio semplice e diretto, senza tecnicismi, per tratteggiare soluzioni inaspettate che, d’un colpo, fanno luce sul trauma, leniscono la ferita inferta dalla vita, aprono prospettive di speranza anche nelle situazioni più tetre.

Nelle storie di Yalom del resto il tema dell’età emerge di frequente, sia per il modo con cui i pazienti approcciano il setting in considerazione della sua, sia perché egli stesso, a 85 anni, si rispecchia in problematiche che gli sono ovviamente più vicine. Ciò nonostante sarebbe riduttivo confinare il pensiero empatico di Yalom alla vecchiaia: esso è un appello all’approfondimento di temi esistenziali che, pur essendo fonte di notevoli problemi nella vita delle persone ad ogni età, vengono talvolta trascurati in quanto non rientrano nelle categorie diagnostiche tradizionali.

Come molti osservano, i libri dell’anziano psichiatra americano possono aumentare la consapevolezza dei terapeuti riguardo ai temi esistenziali perché la cosa più importante che possa fare un terapeuta è offrire al paziente l’ascolto e una relazione che risulti autentica. A questo proposito è importante notare come la varietà delle storie presentate in Creature di un giorno abbia richiesto un ventaglio di interventi personalizzati e come ogni paziente abbia tratto vantaggio dalla terapia in un modo tutto personale e talvolta inaspettato. E finanche nelle situazioni che appaiono disperate la persona può trovare la forza per affrontarle purché accada qualcosa che riesca a far leva sulle sue stesse risorse.

Nei casi presentati si può osservare come Yalom cerchi di portare il paziente a comprendere il motivo autentico del sintomo. Infatti, l’attenzione posta ai temi esistenziali è anche finalizzata a non farsi “ingannare” dalla spiegazione iniziale fornita dal paziente, la quale, in genere, è legata soprattutto alla manifestazione “di superficie” del problema.

Del resto è lo stesso autore a chiarirlo in un esemplare postfazione: “In questi racconti spero di far capire come il focalizzarsi sul qui ed ora possa essere usato con il massimo vantaggio. Non mi stanco di richiamare l’attenzione sul legame che il paziente ha con me, a come mi vive: faccio controlli del processo in corso; mi informo ripetutamente sullo stato del nostro incontro nel corso della seduta; chiedo al paziente se ha delle domande da rivolgermi; cerco notizie sulla nostra relazione nei sogni. In breve, non manco mai di dare la massima priorità allo sviluppo di un legame onesto, trasparente, proficuo tra noi”.

[Dania Cappellini]

Pensando a Yalom e alle sue “creature di un giorno” mi ricordo subito di Sead, un adolescente di 15 anni che veniva descritto ansiosamente dalla madre affidataria come uno che non parlava quasi mai di sé. Era molto preoccupata e avrebbe voluto che lo si fosse reso più comunicativo. Sead era (ed è ) un ragazzo Rom che a 10 anni chiedeva elemosina proprio davanti al bar della madre affidataria e di suo marito i quali, dopo essersene presi cura quasi come mascotte del locale, ne chiesero poi la tutela legale. I suoi genitori biologici ne diedero l’assenso in modo che potesse frequentare la scuola, cosa impossibile stando con loro che spesso sono in viaggio avanti e dietro dalla Romania.

Sead arriva all’appuntamento con me in motorino, che parcheggia in cortile, accompagnato da un compagno di classe che lo aspetta sulla panchina nell’ingresso. Mi colpisce il suo aspetto completamente “milanese”, nel modo di muoversi e nell’abbigliamento, e non mi sorprende affatto quando dice con calma e che il problema in realtà è tutto nella testa di sua madre. Mi sento completamente dalla parte del ragazzo, una probabile “creatura di un giorno”. Ma mi comunica qualcosa nel suo sguardo che mi incuriosisce, e dopo avergli spiegato che dovrà essere lui a decidere se venire o meno, chiedo se vuole vedere le attività della stanza.

Gli faccio vedere il tavolo di falegnameria e lo vedo subito curioso e interessato. Mi sorprende quando dice che vorrebbe costruire il bar del suo padre affidatario, e comincia a scegliere il legno, misurando e segando i pezzi necessari relazionandosi facilmente con me per attrezzi e strategie. Mentre lavora comincia a parlare del padre biologico, che faceva i letti per i caravan del loro popolo. Dice che lui aveva 7 anni e aiutava suo padre a scegliere il legno forte e buono e la colla migliore. Capisco che attraverso il legno mi sta trasmettendo un desiderio di narrarsi e sento una chiara domanda di aiuto.

Alla fine della seduta dice che vorrebbe continuare a venire, e infatti per circa 6 mesi utilizza il nostro tempo insieme per finire la casetta bar completa con mobili e luci interni. Mentre lavora parla dei suoi 2 padri, e attraverso una terapia che prima di iniziare sembrava destinata a finire subito, mette insieme le due parti di sé. Sead trasforma il materiale legno, racconta la sua storia e nello stesso tempo vive una trasformazione dentro di sé. Il suo racconto mette insieme la Romania, la sua musica e le sue usanze con la cultura molto diversa della sua famiglia milanese. Non era in grado di comunicare le sue difficoltà, ma attraverso la costruzione della casetta bar di legno, invece di dover scegliere uno o l’altro dei due padri capiva che poteva sceglierli entrambi.

La storia del ragazzo un po’ romeno e un po’ milanese tocca anche la mia storia personale di terapeuta, con due paesi e due parti di me, e penso che Yalom sarebbe d’accordo che questo fatto mi ha aiutato molto ad avvicinarmi a Sead nella sua ricerca di un senso di sé. Infatti, scrive che pazienti spesso trovano beneficio in modi imprevedibili all’analista: “Noi terapeuti dobbiamo imparare a convivere bene con il mistero mentre accompagniamo i nostri pazienti nel loro viaggio di auto-scoperta”.

[Julie Cunningham]

Creature di un giorno, di Irvin D.Yalom, Neri Pozza ed., pagg. 215, € 17

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