LA MIA VITA DA ZUCCHINA (Claude Barras) – Recensione di Fulvia Ceccarelli

 

Questo coraggioso film d’animazione sembra suggerirci che nascondere la verità ai bambini il più delle volte si rivela una sterile scorciatoia, perché la vera sfida è trovare le parole appropriate per raccontarla. Indubbiamente si tratta di un messaggio forte e in controtendenza con il bisogno ipertrofico di protezione che caratterizza gli adulti di oggi. E ha il pregio di ricordarci che i bambini hanno certamente degli aspetti di fragilità, ma anche potenzialità e risorse. Non solo. Che metterli di fronte a verità scomode è faticoso e fa male, ma insegna loro che le difficoltà fanno parte della vita. E soprattutto che si possono affrontare con l’aiuto di adulti competenti, come accade in questa storia. Realizzato con sensibilità e maestria da Claude Barras, La mia vita da Zucchina è la trasposizione cinematografica dell’omonimo libro e narra, senza ombra di retorica, la vita in quei microcosmi per bambini soli, che sono le case-famiglia. Sono andata a vederlo, nel periodo natalizio, in un cinema del centro di Milano affollato di nonni e nipotini vocianti, come da tradizione. In platea, tra tante testoline agitate, qualche adulto solitario dall’aria terrorizzata. Durante la proiezione è calato un silenzio irreale. Inconsueto per quel genere di pubblico. Poi, quando si sono riaccese le luci, i nonni avevano l’aria “stropicciata”. Immagino li abbia spiazzati fantasticare uno spensierato film alla Mary Poppins e trovarsi alle prese con una storia cruda, che non racconta di famiglie felici. Quelle che la pubblicità ci elargisce a piene mani nel periodo natalizio. Siamo proprio sicuri che sia un film per bambini? – sembrava essere l’interrogativo dipinto sul volto sconcertato di quei nonni. Mi intenerisce la loro perplessità, perché mi ricorda che sono tanti gli adulti disposti a edulcorare le fiabe nel timore che streghe cattive e orchi famelici possano traumatizzare i loro piccoli. Forse può essere utile riflettere su cosa significhi, per ciascuno di noi, l’espressione “adatto a un bambino”. Perché è in base a questo criterio che scegliamo quali argomenti affrontare e quali sottacere in sua presenza. Ricordo che essere piccoli non significa essere stupidi. I piccoli provano le stesse emozioni degli adulti. Anche quelle negative e forse con maggiore intensità. Non solo. Da osservatori acuti quali sono, posseggono antenne straordinarie per captare tensioni e malumori dell’ambiente in cui vivono. Certamente, poi, vanno aiutati a riconoscere e denominare le loro emozioni, a comprendere ciò che li fa star bene e ciò che li fa soffrire. Penso ad esempio ai bambini adottati o in affido i quali, a un certo punto della loro vita, sono travolti dall’urgenza di sapere chi sono i loro genitori biologici e perché li hanno abbandonati. Conoscere è un diritto inalienabile che non ha età, come vorrebbe il legislatore. Per cui risposte del tipo: ora sei troppo piccolo per comprendere sono inappropriate, a mio avviso. E forse servono a preservare i genitori adottivi e affidatari dai loro umani fantasmi di abbandono, più che i bambini. Mentre dire: i tuoi genitori erano così infelici che hanno preferito ti aiutasse a crescere qualcuno più bravo di loro non sarà facile da accettare, ma quantomeno è onesto.

La mia vita da Zucchina è un film per bambini, pur non avendo le caratteristiche della fiaba. Infatti le brutte avventure non capitano a personaggi fantastici come belle fanciulle addormentate nel bosco o giovani trasformati in ranocchi da un sortilegio. Con cui i piccoli si identificano, proiettando il proprio mondo interno popolato di paure e sentimenti intollerabili. In questo film, la funzione catartica è affidata alla parola veritiera, trasparente, diretta. Seppur delicata. La storia, assolutamente verosimile, ha come protagonisti dei pupazzi antropomorfi dal volto enorme, reso espressivo da grandi occhi sporgenti. Tra questi Icar, detto Zucchina, ragazzino di nove anni che vive in balia di se stesso, perché del padre si sono perse le tracce, mentre la madre è tragicamente presente da alcolizzata incollata alla tv. Un giorno, per difendersi dalla sua violenza, Icar si rifugia in soffitta. E nel chiudersi l’imposta della botola alle spalle la colpisce involontariamente, ammazzandola. Il poliziotto che svolge le indagini prende a cuore la sua storia. Purtroppo, non avendo altra scelta che accompagnarlo in comunità, può promettergli solo di andare a trovarlo spesso. Obtorto collo, Icar si trova a convivere con altri bambini soli come lui. Ognuno con una storia triste alle spalle, ognuno con il proprio modo di protestare per l’abbandono. C’è chi si dondola in maniera ripetitiva, chi nasconde il proprio volto dietro un folto ciuffo di capelli, chi si rifà sui più deboli con atti di bullismo e chi, come Camille, arriva a preferire quel luogo alla possibilità di essere affidata all’occhiuta zia rimastale. Zucchina scopre con stupore che anche tra ragazzi “strani”, che non si sono scelti, possono nascere amicizia, complicità, affetto e amori. Non solo. In comunità fa esperienza di adulti diversi da quelli incontrati prima. Come il poliziotto che non solo è fedele alle promesse, ma decide persino di adottarlo; la direttrice, dall’aspetto burbero e dal cuore tenero; l’insegnante che, pur avendo un figlio suo, non lesina loro l’affetto.

Infine il momento della separazione, in cui la gioia incontenibile è venata di malinconia per chi si lascia. Sarà la promessa di restare amici e continuare a vedersi a ridare un po’ di brio al gruppo.

Forse La mia vita da Zucchina non sarà un film natalizio nell’accezione comune del termine, ma è comunque un dono di speranza ai tanti bambini che sperimentano da subito la durezza della vita. Perché la morale della storia è che crescere significa imparare ad accettare che il passato non ci verrà restituito, ma che esiste anche un futuro. Che può riservarci la sorpresa di incontrare persone capaci di amore oblativo, che non chiede in cambio nulla e non conosce ricatti. Che nutre e si tramuta in carburante prezioso per la vita.

Di seguito il trailer del film:

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La mia vita da zucchina