La pazza gioia (Paolo Virzì) – Recensione di Fulvia Ceccarelli
dedicato a tutte le Beatrice e Donatella del mondo
Film intenso, commovente e a tratti anche ironico. Che arriva dritto al cuore e che forse segretamente attendevamo. Perché proprio di questi tempi, segnati da una marcata indifferenza emotiva che amplifica le sofferenze causate dal disamore, Virzì sembra darci una sprimacciata, ricordandoci che i percorsi dell’amore sono imprevedibili. Un po’ come è accaduto a Beatrice e Donatella, le due protagoniste del film che, sbandando in seguito a gravi carenze affettive, si sono scoperte ospiti “socialmente pericolose” di una comunità terapeutica. E per fortuna, perché l’alternativa sarebbe stata, almeno per una delle due, l’ospedale psichiatrico giudiziario, con le fascette di contenimento ai polsi e alle caviglie. Donatella, infatti, già di suo emotivamente instabile, per disperazione ha tentato di togliersi la vita insieme al suo bambino, pur di non perderlo. “Come fai a non cadere in depressione se scopri che i servizi sociali vogliono toglierti tuo figlio?”, commenta lei in modo lucido e ineccepibile.
Entrambe protestano caparbiamente per la vita toccata loro in sorte. Lo fanno in modo scomposto, ciascuna avvolta nella propria solitudine. Beatrice, istrionica e sofisticata, esibendo un’eleganza ostinata e improbabile. Donatella, schiva e taciturna, attraverso un corpo magrissimo istoriato da tatuaggi e un volto così indurito da sembrare scolpito nella pietra.
Non appena si presenta l’occasione, scappano dalla comunità e forse, prima di tutto, da se stesse. Entrambe, infatti, sono abituate a coltivare illusioni per poter sopravvivere. L’una vagheggiando un padre musicista, che avrebbe composto per lei una canzone famosa con cui l’addormentava da piccola; l’altra, un amante adorante e una vita trascorsa accanto a persone che contano. Ben presto il mondo esterno le costringe a misurarsi con lo scarso valore che le loro vite hanno per gli altri: pochi spiccioli, quelli che il padre di Donatella racimola frugandosi nelle tasche, per poi sgusciar via dall’ospedale in cui è ricoverata. Beatrice non è messa meglio. Viene umiliata pesantemente dall’amante e disprezzata dalla madre, che le riconosce il solo merito di aver dilapidato il patrimonio di famiglia.
Durante questa fuga strampalata le due donne, che diventano l’una testimone del disastro affettivo dell’altra, sperimentano dapprima un sentimento ruvido e aspro, segnato da scoppi d’ira: rispecchiandosi, infatti, si rimandano un’immagine logora e stracciona che rifiutano. Il tempo però, lavorando in sordina, tinge di pietà, affetto e nostalgia quel garbuglio di emozioni. Così finalmente le parole di Beatrice possono sciogliersi in un pianto muto e le gambe di Donatella riposarsi, dopo aver camminato fino allo stremo. Perché ad attenderla in comunità c’è una persona che ha rubato pur di farle incontrare suo figlio.
A seguire il trailer del film.