MIELE
La brava Valeria Golino prova a restituire al tema dell’eutanasia tutta la sua complessità, contraddizioni incluse, con l’intento di scandagliare le ragioni umane profonde, più che trovare risposte convincenti per tutti. E, cosa pregevole, lo fa da una posizione non ideologica.
Miele è lo pseudonimo di Irene, giovane donna il cui lavoro consiste nell’accompagnare verso una dolce morte le persone che ne fanno esplicita richiesta. Si tratta di malati lucidi, consapevoli. Poco importa se terminali o costretti in un letto a vita.
Miele si muove sotto copertura, tanto che né il padre né il fidanzato sanno che lavoro svolga realmente. Il suo è un compito clandestino, rischioso, che svolge con professionalità e distacco. Semplicemente calandosi nel ruolo.
Si reca in Messico di persona per acquistare i barbiturici. Si attiene a un rigido protocollo che le impone di indossare abiti anonimi che nascondano le forme femminili: non può incoraggiare i malati a pensare che la sua vita prosegua oltre le pareti anguste della loro stanza. Consegna nelle loro mani la bevanda mortale, che berranno confortati dal suono di note musicali per loro significative. Ribadisce loro che sono liberi di ripensarci in qualunque momento e che lei sarà presente fino alla fine.
Tutto fila liscio come un ingranaggio ben oliato, finché un giorno scopre, per puro caso, che ha consegnato il kit mortale ad un uomo di mezza età, colto e affascinante, che non è affatto in fin di vita, ma semplicemente stanco di vivere. Questo imprevisto apre una grossa crepa nella sua etica professionale. La sua freddezza vacilla. Così lo tempesta di telefonate, gli piomba in casa per costringerlo a cambiare idea, perché non vuole avere sulla coscienza la morte di una persona sana. A nulla valgono i tentativi dell’uomo di convincerla che non sta a lei decidere chi abbia diritto all’eutanasia. Se solo i malati o anche i depressi o chi è semplicemente stanco di vivere.
In aggiunta, le capita di presenziare alla morte di un giovane che sceglie un brano musicale della durata di sette lunghissimi minuti. Davvero troppi, anche per lei. Che si rende improvvisamente conto che domande apparentemente innocenti come: “quanto mi ci vuole per morire?” o la scelta di brani musicali lunghi nascondono, in realtà, una grande voglia di vivere. Peccato che quella non possa definirsi vita.
Di fronte alla richiesta paradossale “aiutami a morire che voglio vivere”, Miele fa un passo indietro.